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L’umano oltre l’umano: la sfida dello “Human enhancement”

Luigi Alici

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In un’epoca in bilico tra retrotopie e fughe in avanti, la sfida dello Human enhancement si radicalizza con il rompersi del tradizionale vincolo normativo che collegava potenziamento e terapia, producendo una contrapposizione tra possibilisti, che ne rivendicano liceità e persino doverosità, e detrattori, che invece denunciano lo stravolgimento della medicina e l’offesa alla dignità umana.

 

1. Ogni epoca è caratterizzata da un equilibrio instabile fra memoria e progetto; fra un ancoraggio nel passato, che porta a riconoscere la tradizione come un’eredità imprescindibile, e una progettualità che si nutre di una forte spinta verso il futuro. Questa altalena può assumere di volta in volta valori diversi, a seconda che in essa prevalgano posture razionali, che instaurano un rapporto critico e riflessivo con la natura e con la storia, o al contrario estremismi ideologici, attraversati da semplificazioni e intolleranza. La natura creativa o regressiva di un’epoca dipende in larga misura da questo.

Un tratto fondamentale che identifica il paradigma della modernità, al quale ha dato un impulso formidabile la rivoluzione scientifica, è rappresentato da una nuova progettualità, in cui s’intrecciano sapere e potere, progresso e utopia, e che la politica cercherà di tradurre in un disegno di emancipazione individuale e collettiva. Nello stesso tempo, però, quella cultura è stata attraversata anche da battute d’arresto di segno contrario: Paul Ricoeur ha parlato, ad esempio, di una triplice umiliazione dell’umanesimo: una “umiliazione cosmologica”, conseguente all’avvento del sistema copernicano; una “umiliazione biologica”, dovuta alle conseguenze culturali dell’evoluzionismo darwiniano; una “umiliazione psicologica”, prodotta dalla scoperta freudiana dell’inconscio.

Qualcosa di analogo possiamo riscontrare anche nel nostro tempo, che tendiamo a identificare come l’epoca dei “post” (postsecolare, postmetafisica, postdemocratica, postumana…); nonostante ogni presa di distanza dalla modernità, si ripropone infatti una oscillazione fra passato e futuro, benché in forme più ambigue, con una preoccupante deriva ideologica. Da un lato si può evocare la straordinaria analisi che Bauman ha sviluppato nella sua opera postuma, che dà anche un nome a questo fenomeno: Retrotopia, cioè bisogno viscerale di utopie capovolte, di ritorno all'indietro, alla ricerca di una nicchia tribale in cui rifugiarsi, accettando cinicamente conflitti e disuguaglianze come prezzo da pagare per assecondare il proprio narcisismo. Da un altro lato, il transumanismo rappresenta un movimento di segno opposto, più sofisticato e meno diffuso sul piano del costume: la vita umana è un sistema subottimale e il nostro statuto biologico non è un destino immutabile. Secondo Ray Kurzweil, director of ingeneering di Google, e collaboratore di Larry Page nella fondazione di Calico, una società per prolungare la vita umana, siamo ormai vicini al superamento della nostra biologicità e alla nascita di una singolarità tecnologica.

Anche i dibattiti intorno al postumano e al potenziamento umano (Human Enhancement = HE, Fig. 1) si collocano in questo orizzonte. Grazie a una convergenza fra autori di estrazione e competenze diverse (Marchesini, De Kerckhove, Moravec, Haraway, Kelly, Deitch), il postumano intravede la possibilità di una nuova forma dell’umano come esito della confluenza entro un medesimo processo co-evolutivo di bios e techne: l’umano dopo l’umano potrà affacciarsi sul nostro futuro quando le due correnti del progresso tecnologico e dell’evoluzione biologica cominceranno a scorrere nello stesso letto, quando cioè la selezione naturale potrà incorporare nel patrimonio genetico della specie i risultati stessi della tecnopoiesi, lasciando intravedere una vera e propria rivoluzione umanistica, capace di oltrepassare persino i più audaci scenari della fantascienza, popolati di robot e organismi bionici o cyborg (cybernetic organism, Fig. 2), composti di organi artificiali e biologici.

 

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Figura 2 - Human enhancement
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Figura 1 – Bios e Techne

 

2. In forme più concrete e meno velleitarie, lo HE assume i risultati della tecnoscienza, applicandoli al mondo della salute e della vita umana, e teorizzando interventi biomedici volti a migliorare la forma umana, al di là di ciò che tradizionalmente poteva essere riconosciuto come necessario per ristabilire o sostenere la salute. Senza distinguere fra interventi terapeutici e non terapeutici, lo STOA (“Science and Technologies Options Assessment”), Commissione permanente del Parlamento Europeo, definisce HE “ogni modificazione volta a migliorare le prestazioni degli individui basata sulla scienza o su interventi tecnologici sul corpo umano”.

Oltre questa definizione, la deriva estremistica si rafforza prorio quando è rifiutata qualsiasi subordinazione terapeutica, con la conseguente rinuncia a riconoscere la differenza fra salute e malattia (Da Re). Juengst e Moseley, ad esempio, parlano di “interventi biomedici che sono impiegati per migliorare la forma o la funzione umana al di là di ciò che è necessario per ristabilire o sostenere la salute”.  Altri autori fanno leva sul carattere problematico della distinzione: la medicina contemporanea includerebbe diverse pratiche che non hanno uno scopo immediato di guarigione (dalla ostetricia alla medicina sportiva, alla chirurgia estetica); inoltre, sarebbe difficile classificare come terapeutici una serie di interventi che riducono la probabilità di malattia e di morte (quali le vaccinazioni o i tentativi di rallentare l’invecchiamento).

Il sogno di una “umanità aumentata” si salda quindi con un fenomeno più generale di medicalizzazione della vita, sullo sfondo di una coincidenza fra un concetto “ottimizzato” di salute e una dilatazione del diritto alla felicità. Su questa strada il rifiuto di ogni una passiva sottomissione al processo evolutivo va di pari passo con la rivendicazione di forme sempre più ampie di libero accesso alle opportunità biotecnologiche, con ambiti applicativi progressivamente estesi alla dimensione fisica, cognitiva, emotiva, sulle quali intervenire per via farmacologica, chirurgica, genetica….

Oltre le applicazioni più note, dalla chirurgia estetica alla medicina sportiva, il potenziamento interessa ormai l’ambito biologico (attraverso interventi sui processi di invecchiamento e ringiovanimento), l’ambito neuro-cognitivo (con la modifica delle funzioni cerebrali e mentali, che sta dando vita a cliniche per sviluppare il cervello, anche attraverso un potenziamento della memoria o, al contrario, la cancellazione selettiva di ricordi scomodi) e quindi l’ambito genetico, attraverso forme di genomica migliorativa che arrivano a toccare la linea germinale, fino ad alimentare la distopia di una società postmortale. In questa prospettiva si arriva a parlare anche di potenziamento morale, considerando la possibilità di intervenire sulle capacità umane di controllare gli impulsi negativi e quindi favorire comportamenti prosociali.

3. In presenza di scenari così sfumati e complessi, il dibattito si polarizza rapidamente fra possibilisti e detrattori.

La linea possibilista oscilla fra una rivendicazione libertaria del principio di autonomia e la teorizzazione di un dovere pubblico di beneficenza verso la collettività. Rispetto ad alcune posizioni più moderate, Nick Bostrom (Fig. 3), direttore a Oxford del “Future oh Humanity Institute”, difende un potenziamento capace non solo di migliorare il funzionamento di un sottosistema, ma di creare sottosistemi nuovi, di cui l’organismo in precedenza era sprovvisto. In tale prospettiva, sarebbe non solo accettabile qualsiasi aumento di opportunità di vita (Bostrom, Savulescu Fig. 4), ma risulterebbe persino doveroso incrementare altruismo e senso di giustizia attraverso interventi biochimici mirati (Persson, Savulescu).

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Figura 4 - Julian Savulescu
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Figura 3 - Nick Bostrom

Queste aperture vanno quasi sempre di pari passo con il rifiuto di una visione antropologica statica ed “essenzialista”. In nome di un darwinismo radicale, dobbiamo superare ogni idea astrattamente normativa di natura umana; a un aumento di funzionalità biologica corrisponderebbe sempre non solo un aumento di opportunità di vita, ma più radicalmente un aumento di valore e quindi di dignità dell’individuo.

Anche la galassia dei detrattori è complessa. Alcune critiche denunciano il pericolo di snaturare il senso profondo dell’atto medico, mentre altre si concentrano su una possibile alterazione della natura umana, o perché sradicata da una concreta comunità storica, oppure perché alterata nell’autonomia e dignità individuale. Una critica ante litteram, relativa al primo aspetto, possiamo ricavarla da Hans Jonas (Fig. 5); pur non essendosi confrontato in modo esplicito con la sfida dello HE, Jonas ha teorizzato una sorta di “euristica della paura” (Jonas 1990), raccomandando, di fronte allo strapotere della tecnologia, un atteggiamento metodico che dia sempre la precedenza alla previsione cattiva su quella buona. Su questa base ha quindi condannato ogni “futilità miglioristica” che rischia di stravolgere la finalità originaria della medicina, la quale, come ogni arte umana, “non esiste per eliminare ogni ostacolo dalla natura, per cambiare ogni destino”. La medicina infatti deve inventare i metodi, ma non il fine, in nome di una insuperabile “restrizione del mandato del medico allo scopo specifico e isolato di guarire […] medicus curat, natura sanat”. Ciò che conta, in ultima analisi, è “preservare dalla disgrazia, non sperimentare la felicità. L’uomo, non il superuomo sia il fine” (Jonas 1997).

 

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Figura 5 - Hans Jonas

Il principio di precauzione è fatto valere anche da Kass, che evoca il celebre esempio della rana bollita, citato da Chomski per mettere in guardia contro il rischio di un adattamento graduale all’ingiustizia, che alla fine diventa assuefazione impotente: proprio come accade a rana, che all’inizio nuota piacevolmente in una pentola sul fuoco, apprezzando il tepore dell’acqua, ma che alla fine non ha più le forze per saltare via.

Fra gli oppositori in nome della intangibilità della natura umana se ne possono ricordare almeno tre. Francis Fukuyama ritiene che lo HE aggravi il divario intergenerazionale, deformando profondamente il concetto stesso di progresso. Michael Sandel oppone allo HE un “elogio dell’imperfezione”, anteponendo a ogni insindacabile principio libertario un’etica incentrata sulla vita umana come dono, in cui talenti e poteri non sono a nostra completa disposizione: “non siamo completamente responsabili di come siamo”. Di conseguenza è sbagliata un’idea di libertà che vorrebbe vederci “in sella al mondo, come i signori e padroni della natura”, rischiando in realtà “di lasciarci senza più niente da affermare o vedere al di là della nostra volontà”.

Secondo Habermas, infine, che entra nella discussione utilizzando argomenti tipici della tradizione liberale, c’è una concreta possibilità che le tecnologie migliorative riducano la capacità di pensarci come persone eguali a tutte le altre per nascita e valore. Ogni intervento che alteri la combinazione di casualità e libera scelta strumentalizza la vita umana e offende la dignità del soggetto, riducendolo a oggetto di decisioni altrui.

4. Il dibattito è più che mai aperto e nasconde nodi teorici che in questa sede non è possibile analizzare (Alici 2020). Un nodo fondamentale riguarda la natura fragile e insieme preziosa della vita umana: il fragile è prezioso non nonostante le ferite e la sua vulnerabilità, ma proprio grazie alla capacità personale di attraversarle nel rispetto della finitezza (Alici 2016). È un’imperfezione la ferita, non il limite: contrastare la prima rispettando il secondo disegna quella strada stretta attraverso la quale medicina e umanità si danno la mano. In tale prospettiva, curare una disfunzione è una finalità primaria, laddove potenziare una funzione appare solo come una finalità subordinata in senso preventivo.

Quando invece l’imperativo della perfezione trasforma la restituito ad integrum in transfiguratio ad optimum si confondono compimento e potenziamento, achievement e enhancement (Palazzani, Giglio). Senza dimenticare che questa differenza va comunque sempre valutata attentamente – e non ideologicamente – in rapporto alle specificità delle situazioni: l’esoscheletro che aiuta un infermo a camminare può trasformarsi in un’arma micidiale per un soldato; la possibilità di potenziare e mettere in rete big data può dare un impulso formidabile alla società della conoscenza, ma anche essere il primo passo verso la creazione di una megaintelligenza unificata, che affiderebbe a un algoritmo impersonale – e irresponsabile! – la gestione di guerre, speculazioni finanziarie e persino decisioni mediche.

Una cura per procura è lo scenario peggiore: un futuro governato dalla robotica potrebbe essere popolato solo da macchine, ingegneri e infermieri. Torna l’ammonimento di Bauman: anche questa potrebbe essere una retrotopia.

 

Parole chiave: potenziamento umano, medicina, etica

 

Bibliografia

  1. Alici L., Il fragile e il prezioso. Bioetica in punta di piedi, Morcelliana, Brescia 2016.
  2. Alici L., La persona tra limite e potenzialità: la sfida dello “Human Enhancement”, in L. Alici, P. Nicolini (a cura di), L’umano e le sue potenzialità tra cura e narrazione, Aracne, Roma 2020
  3. Bostrom, N. Human Dignity and Enhancement, in Human Dignity and Bioethics, Essay commissioned by the President’s Council of Bioethics, Washington D.C. 2008
  4. Comitato Nazionale per la Bioetica, Neuroscienze e potenziamento cognitivo farmacologico: profilo bioetici: http://bioetica.governo.it/media/3485/p106_2013_enhancement-cognitivo_it.pdf
  5. Da Re A., Il potenziamento cognitivo farmacologico, in L. Palazzani (a cura di), Verso la salute perfetta, cit.
  6. Fukuyama F., L’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, Mondadori, Milano 2002
  7. Giglio F., Human Enhancement. Status quaestionis, implicazioni etiche e dignità della persona, Edizioni Meudon, Portogruaro 2014
  8. Habermas J., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino 2002
  9. Jonas H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990
  10. Jonas H., Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Einaudi, Torino 1997
  11. Juengst E., Moseley D., Human Enhancement, “The Stanford Encyclopedia of Philosophy”, 2016: http://plato.stanford.edu/archives/spr2016/entries/enhancement/
  12. Kass L.R., La sfida della bioetica. La vita, la libertà e la difesa della dignità umana, Lindau, Torino 2007
  13. Kurzweil R., La singolarità è vicina, Apogeo, Milano 2010
  14. L. Palazzani (a cura di), Verso la salute perfetta. Enhancement tra bioetica e biodiritto, Studium, Roma 2014
  15. Persson I., Savulescu J. (eds.), Unfit for the future. The need for moral enhancement, Oxford University Press, Oxford 2012
  16. Sandel M.J., Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica, Vita e Pensiero, Milano 2008
  17. Savulescu J., Bostrom N. (eds.), Human Enhancement, Oxford University Press, Oxford 2009
  18. STOA: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/etudes/join/2009/417483/IPOL-JOIN_ET(2009)417483_EN.pdf
     

Luigi Alici insegna Filosofia morale nell’Università di Macerata, dove è stato Direttore della Scuola di Studi Superiori “Giacomo Leopardi”. È docente di Etica della vita e della cura presso il Master interuniversitario in “Medicina narrativa, comunicazione ed etica della cura” presso la Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche. È stato Vicepresidente della Società Italiana di Filosofia morale ed è attualmente Presidente della Commissione per l'Abilitazione Scientifica Nazionale in Filosofia morale. Le sue ricerche vertono su questioni di etica fondamentale e applicata: identità personale e reciprocità, cura e fragilità, rapporti tra natura, tecnologia e libertà. Fra le pubblicazioni più recenti: Il fragile e il prezioso. Bioetica in punta di piedi, Morcelliana, Brescia 2016; Agostino, Il libro della pace. La città di Dio, XIX, ELS La Scuola, Brescia 2018; InfinitaMente. Lettera a uno studente sull’università, EUM, Macerata 2018. È direttore di Collane e membro del Comitato scientifico di Riviste e Istituti di ricerca. È autore del blog “Dialogando” (http://luigialici.blogspot.it/).

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