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A proposito di Ibico

Suggestiva la rievocazione di Claudio Rapezzi (Medicina e Cultura 2019; 2: 73) del poeta greco Ibico, nato nella Magna Grecia a Reggio Calabria e piuttosto sconosciuto, ma purtroppo la bellezza del verso e dei passionali sentimenti amorosi collide con il principio di realtà  che è molto più sentito dagli scrittori/filosofi e poeti romani, dove il sesso e la vecchiaia o la senectute  e le passioni amorose - più o meno socratiche - sono alquanto incompatibili e derise, specie se si tratta del sesso femminile  [vedi Orazio, Tibullo, Marziale e Terenzio (senectus ipsa .... )]. Cosa che lo stesso Cicerone – seppure nelle Tuscolane cita con favore le liriche amorose dello stesso Ibico - sembra   condividere totalmente nella ”Intervista/colloquio” a Catone il Maggiore nel XII capitolo del suo trattatello Cato maior de senectute”, qui di seguito riportata.

La vecchiaia distoglie dai piaceri sensuali

Segue la terza critica alla vecchiaia, a quello che  dicono che essa sia priva di piaceri.

Oh, magnifico dono dell'età, se davvero ci toglie ciò che nella giovinezza c'è di peggiore!

Ascoltate infatti, ottimi giovani, quell'antico discorso di Archita di Taranto, uomo grande e famosissimo, che mi fu riferito quando da giovane ero a Taranto con Quinto Massimo.

Egli diceva che nessuna peste è stata data agli uomini, da parte della natura, più funesta del piacere dei sensi e le passioni, avide di tale piacere, vengono spinte a goderne in modo cieco ed avventato. Da qui nascono i tradimenti della patria, da qui i colpi di stato, da qui le intese segrete con i nemici, perciò non vi è nessun delitto, nessun misfatto a compiere il quale non induca la bramosia del piacere; e poi stupri e adulteri e ogni scandalo di tal fatta, da nessun'altra lusinga sono alimentati se non (da quella) del piacere; e poiché all'uomo o la natura o qualche dio nulla ha dato più nobile della mente, a questo favore e a questo dono divino niente è così nemico come il piacere. E infatti, quando domina la libidine, non vi è posto per la moderazione, e insomma nel regno del piacere non può esistere virtù.

E affinché ciò meglio si capisse, consigliava di immaginare un uomo eccitato dal maggior piacere del corpo che si potesse provare: pensava che per nessuno sarebbe stato in dubbio che, fintantoché  godesse così tanto a lungo, non potesse meditare su nulla, né a nulla giungere col ragionamento o col pensiero.

Pertanto nulla è così detestabile quanto il piacere, se è vero che esso, quando è troppo intenso e duraturo, spegne ogni lume dello spirito.

Queste parole disse Archita a Caio Ponzio Sannita …., nostro ospite, che era rimasto fedele al popolo Romano, diceva di averle apprese dai suoi avi, essendo poi stato presente a quel discorso lo stesso Platone di Atene, che, come mi risulta, era venuto a Taranto quando erano consoli Lucio Camillo e Appio Claudio.

Dove va a parare tutto ciò? Affinché si comprenda che, se non potessimo respingere il piacere con la ragione e la saggezza, dovremmo essere molto grati alla vecchiaia, che fa sì che non ci sia gradito ciò che non si deve.

Infatti il piacere ostacola il senno, è nemico della ragione, offusca, per così dire, gli occhi della mente, e non ha alcun rapporto con la virtù.

Pier Roberto Dal Monte